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Ann Hood racconta com'è nato il suo commovente romanzo
Quando andavo a scuola, prendevo spesso ottimi voti in Storia e Letteratura. In verità, in tutte le materie, tranne in "Cucito", che però era una materia obbligatoria. Alla fine dell'ultimo un anno, feci una promessa con me stessa: «Non avrai mai più a che fare con nessun tipo di lavoro manuale». E ho mantenuto quella promessa per molti, moltissimi anni. Fino all'inizio del 2002, quando mia figlia Grace di cinque anni è morta improvvisamente per una virulenta forma di streptococco. In quei giorni così bui, le mie consuete fonti di conforto - leggere e scrivere - non servivano proprio a nulla perché non riuscivo a concentrarmi. Per caso, alcuni miei amici mi suggerirono di provare un metodo alternativo per dare sollievo al mio cuore spezzettato e dolorante: lavorare a maglia. E così, con mia grande sorpresa, nonostante la promessa fatta molti anni prima, mi iscrissi a un corso per imparare. Nel giro di pochissimo, il lavoro a maglia è diventata la mia ancora di salvezza. Non solo ha calmato il mio dolore e curato le mie ferite, ma mi ha permesso di crescere e apprezzare tutte le donne che seguono abitualmente corsi di maglia. Il ticchettio dei nostri ferri, la rassicurante e calda sensazione della lana fra le mani e la combriccola che si è formata dall'unione di molti fili di lana, hanno dato vita a un'atmosfera che mi ha coccolata e, col tempo, guarita.
Un giorno stavo lavorando a maglia tranquillamente seduta nel salotto di casa mia quando, all'improvviso, mi è venuta l'idea per il mio romanzo Il club dei ricordi perduti. Mi sono detta: E se scrivessi qualcosa su quello che mi è accaduto? E se riuscissi a unire il mio amore per il lavoro a maglia alla mia passione per le storie? Anche se non volevo raccontare direttamente la mia esperienza, desideravo fortissimamente esplorare il duro viaggio che dal dolore può portarti a riscoprire la speranza e la gioia. Cosa succederebbe se il mio personaggio principale, Mary, perdesse il suo unico figlio? Quanto diventerebbe difficile il suo cammino? E se entrasse a far parte di un «club» dedicato al lavoro a maglia, composto da donne che si aiutano vicendevolmente a superare gli ostacoli più difficili della vita? Dopo essermi fatta queste domande, ho tirato fuori il mio quaderno - chiuso da tempo in un cassetto -, e ho iniziato a scrivere di getto le emozioni che associo direttamente al dolore: tristezza, rassegnazione, rabbia, senso di colpa, speranza, amore, paura... Partendo da lì, ho dato vita al mio club di lavoro a maglia immaginario, associando a ogni personaggio una di queste sensazioni: Scarlet rappresenta il senso di colpa; Ellen la speranza; Beth l'amore... Poco alla volta, il mio club si è riempito di donne che, come me, hanno bisogno di imparare a lavorare a maglia e, ancor più, di condividere le proprie storie per poter trovare almeno un po' di sollievo dal dolore.
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